“Stare nel vuoto totale permette al corpo di scoprire misteriosi fili in grado di muoverlo”.
T. Hijikata
Il processo di ricerca corporea basato sullo yoga innesca in me un fenomeno di fioritura percettiva. In un dato momento, la mente si apre letteralmente come un fiore, a captare, tra le memorie latenti nella storia del corpo, quelle che in quell’istante sono pronte a farsi presenza viva. É qualcosa di spontaneo, come un succo che cola da una pianta.
Ritrovare quella nostra voce che è più in contatto con un sentire grezzo, profondo, non connotato dall’abitudine del dire. Lasciarla emergere sciogliendola dalla nostra dimensione di amnesia. Poco a poco, sempre assieme al corpo, e al respiro.
Lasciare spazio al caos che la voce custodisce, per poi tornare a fare respirare il linguaggio.
Sono convinta che questa ricerca di un contatto rinnovato con la propria voce sia alla base della concezione indiana dei mantra.
Insieme proveremo allora a ritracciare concretamente una possibile genesi percettiva dei mantra come strumenti-oggetti che agiscono nell’ambito della riparazione di sé.
Vorrei arrivare a una pratica in cui nessun gesto, neppure un respiro, sia dato per scontato: allora questa pratica confina con un misterioso trovarsi nella presenza, dove dimora la danza.