THE CAMP

DOM-

In residenza: dal 9 al 20 dicembre 2019

Il cuore di questo nuovo progetto gira intorno alla parola CAMP.

Si tratta di una parola che porta in sé un largo numero di scenari e significati. È una parola-paradosso, una parola-paesaggio, polisemica e in grado di aprire visioni anche molto contraddittorie.

Nella prima traduzione di questa parola c’è il significato di accampamento.

“L’accampamento è il modello abitativo del 21° secolo“ afferma Charlie Hailey in CAMPS – a guide to 21st-century space. L’accampamento è lo spazio che i governi biopolitici impongono di fronte alle calamità naturali e alle catastrofi (uragano Katrina, terremoto del Centro Italia etc.), ma è anche la condizione dove si trovano a vivere i migranti quando vengono chiuse le frontiere (Calais, Idomeni, etc.) o la soluzione temporanea alle emergenze abitative in città prive di adeguate strutture di accoglienza (Baobab a Roma, la condizione abitativa dei rom nel nostro paese). Sono esistiti e continuano ad esistere i campi militari, i campi di concentramento, i campi di detenzione. È lo stato di eccezione secondo Giorgio Agamben. Poi esistono i campi base, come appoggio logistico per esplorare spazi impervi o colonizzare mondi. Gli accampamenti però, sono anche il luogo concreto e simbolico delle rivolte degli ultimi anni (movimento Occupy, piazza Tahrir, etc.) o, in altri casi, “l’accampamento è uno spazio di ricreazione dove giocare fuori dalle norme della società” (il festival Burning Man per esempio).

Il CAMP è altresì, una corrente artistica, definita per la prima volta da Susan Sontag nel 1954 in Notes on Camp:

« L’essenza del Camp è anzi il suo amore dell’innaturale, dell’artificio e dell’eccesso. Per di più il Camp è esoterico, è una specie di cifrario privato, una sorta di segno di riconoscimento fra ristrette cerchie urbane […]. Non esiste solo una visione camp, un modo camp di guardare alle cose. Il Camp è anche una qualità individuabile negli oggetti e nel comportamento delle persone. Ci sono film camp, abiti camp, mobili camp, e ancora canzoni, romanzi, individui ed edifici camp. Questa è una distinzione importante. Lo sguardo camp ha effettivamente il potere di trasfigurare l’esperienza. Ma non tutto può essere visto come Camp. Il Camp non risiede interamente nello sguardo dello spettatore […]. Tuttavia, anche se gli omosessuali ne sono stati l’avanguardia, il gusto camp è molto più che gusto omosessuale. Ovviamente la metafora della vita come teatro è particolarmente adatta a legittimare e rappresentare certi aspetti della situazione omosessuale. »

Il campo è, infine, lo spazio dell’incontro delle molteplicità, dell’assemblaggio tra forze umane, simboliche, anatomiche, culturali e quelle non umane, tecnologiche, animali e vegetali, visibili e invisibili, atmosferiche: tutte le forze in campo che con-divenendo inventano una possibilità, un paesaggio, un futuro. È il campo come spazio della co-creazione, come forma in continuo movimento, arte della prefigurazione, spazio rituale, spazio “dell’antico rito del teatro che ancora raduna i vivi e li nutre.”

A partire da queste schegge di pensiero intorno alla parola CAMP si dispiega la ricerca e la proposta del progetto.

Ideazione e regia: DOM- Leonardo Delogu e Valerio Sirna
Con la collaborazione di: Antonio Moresco

La compagnia DOM- è inserita in “Intercettazioni” –  Centro di Residenza Artistica della Lombardia: un progetto di Circuito CLAPS e Industria Scenica, Milano Musica, Teatro delle Moire, ZONA K, con il contributo di Regione Lombardia, MiBAC e Fondazione Cariplo.

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